lunedì 13 aprile 2009

Gran Torino (2008)

Nel giorno di Pasqua, la sera di un paese di provincia, soprattutto con il tempo uggioso-piovoso-ventoso, quando non c'è un cazzo da fare, l'unica alternativa resta quella di andarsi a chiudere in un pub a bere e fumare, oppure di andare a cinema. Io e il mio amico N. abbiamo scelto di andare al cinema, a vedere questo film che si preannunciava alquanto noioso per noi, ma unica alternativa di passare una serata fuori casa, al coperto e al caldo. Il film ci ha preso subito, e ha assorbito completamente la nostra attenzione. N. minacciava di addormentarsi all'inizio del film, ma così non è stato. Il film è stato fluido, denso, la figura del protagonista molto complessa e tracciata in modo superbo dal regista. Il film è un raro esercizio di stile e l'esperienza dell'attore-regista Clint Eastwood si percepisce in ogni fotogramma. La figura di Eastwood risulta essere enigmatica e magnetica, nonostante l'età conserva ancora il suo fascino (assomiglia molto a M.). La serata è stata salvata e mi scrivo qui a scrivere di questo film e delle profonde riflessioni che ha suscitato in me.

Il complesso ritratto - in pieno stile Eastwood - di un uomo che ha fatto dell'odio verso i diversi la sua ragione di vita

Walt Kowalski ha perso la moglie e la presenza dei figli con le relative famiglie, al funerale non gli è di alcun conforto. Così come non gli è gradita l'insistenza con cui il giovane parroco cerca di convincerlo a confessarsi. Walt è un veterano della guerra in Corea e non sopporta di avere, nell'abitazione a fianco, una famiglia di asiatici di etnia Hmong. Le uniche sue passioni, oltre alla birra, sono il suo cane e un'auto modello Gran Torino che viene sottoposta a continua manutenzione. La sua vita cambia il giorno in cui il giovane vicino Thao, spinto dalla gang capeggiata dal cugino Spider, si introduce nel suo garage avendo come mira l'auto. Walt lo fa fuggire ma di lì a poco tempo assisterà a una violenta irruzione dei membri della gang con inatteso sconfinamento nella sua proprietà. In quell'occasione sottrarrà Thao alla violenza del branco ottenendo la riconoscenza della sua famiglia.
Clint Eastwood non smette mai di stupirci. Dopo averci narrato di Iwo Jima vista dai due fronti e di un'altra intrusione dello Stato nella vita degli individui (Changeling) ci immerge ora nel privato di un uomo che ha fatto dell'astio nei confronti dei diversi da sé (siano essi asiatici, neri o più semplicemente giovani) la sua ragione di vita. Si è murato vivo nella sua casa e la prima pietra dell'edificio è stata collocata a metà del secolo scorso quando ha conosciuto la violenza e la morte in Corea. Il suo personaggio si chiama (e lo ribadisce al fine di evitare appellativi troppo confidenziali) Kowalski.
Eastwood ha una cultura cinematografica così vasta da non poter aver scelto a caso questo cognome. Stanley Kowalski era il brutale protagonista di Un tram che si chiama desiderio da Tennessee Williams interpretato da un Marlon Brando al suo top. Anche Walt è brutale, in maniera così rozza che nessuno fa quasi più caso alle sue offese di stampo razzista. È come se, ormai anziano, il mondo attorno a lui gli facesse percepire la sua inutilità anche da quel punto di vista. Il suo andare sopra le righe ad ogni minima occasione lo apparenta con l'altrettanto anziana vicina di casa asiatica che sa solo inveire e lamentarsi sul portico di casa.
Saranno però i giovani 'diversi' (Thao e sua sorella Sue) ad aprire una breccia nelle sue difese. Hanno l'età dei detestati nipoti ma, a differenza di loro, hanno saputo conservare dei valori che l'Occidente non si è limitato a dimenticare ma ha addirittura rovesciato. Una parte della critica americana ha deriso il 'buonismo' di questo film e chi non lo ha attaccato si è spesso trincerato dietro la fredda analisi che vorrebbe trovare in Kowalski una sintesi dei personaggi interpretati nella sua lunga carriera dall'attore. Può anche essere ma Eastwood non è un regista che assembla ruoli per cinefilia compiaciuta o per autoesaltazione.
Walt è un personaggio sicuramente nella linea di quelli da lui già portati sullo schermo ma è molto più complesso di quanto non possa apparire a prima vista. Il suo rapporto con l'auto e con le armi (straordinario e determinante il segno di pollice e indice a indicare la pistola come nei giochi dei bambini) ma anche quello con l'unico essere umano che si potrebbe definire suo amico (il barbiere) sono solo alcuni degli elementi che, insieme all'insorgere della malattia, costituiscono il mosaico della personalità di un protagonista non facile da dimenticare.
Fonte: MyMovie.it



1 commento:

  1. Hai dimenticato di parlare del sarcasmo e dell'ironia nel film, cose che ho notato fin dall'inizio, cose che sono state perlopiù sottovalutate da molti.

    Gegio

    OT: Il Torneo dei film è arrivato alla conclusione, online l'ultima cinquina da votare:
    http://iltorneodeifilm.wordpress.com/2009/04/26/lultimo-sondaggio-e-poi/

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