Nell'estate del 1958, dopo un decennio circa di lunghissimi soggiorni estivi, W. H. Auden
abbandona l'isola di Ischia. Il suo piccolo paradiso italiano
cominciava a risentire troppo del primo turismo di massa conseguente al boom economico, con i suoi effetti collaterali: folla, auto, motorette
che invadevano le stradette dell'isola. Si veniva a interrompere così un
lungo rapporto anche generoso con il Sud italiano e con la sua gente.
Questa poesia, ricca di riferimenti mitologici e culturali (le Erinni,
Mozart, Goethe e il Grand Tour ecc.), rappresenta il commiato definitivo
del poeta, in partenza verso un villaggio austriaco, verso altre genti e
altri climi. Il testo, che può essere letto anche come un acuto
trattatello di antropologia culturale, è dedicato a Carlo Izzo,
che ne è anche il traduttore. Izzo, uno degli anglisti più eminenti del
Novecento italiano, era fautore della teoria etica o "umile" della
traduzione letteraria, in cui ci si deve porre in maniera quasi
invisibile e mai invasiva al servizio dell'autore e del suo testo, come
spiega nel suo libro "Responsabilità del traduttore, ovvero esercizio
d'umiltà", del 1966.
GOOD-BYE TO THE MEZZOGIORNO (For Carlo Izzo)
Out of a gothic North, the pallid children
Of a potato, beer-or-whisky
Guilt culture, we behave like our fathers and come
Southward into a sunburnt otherwhere
Of vineyards, baroque, la bella figura,
To these feminine townships where men
Are males, and siblìngs untrained in a ruthless
Verbal in-fighting as it is taught
In Protestant rectories upon drizzling
Sunday afternoons — no more as unwashed
Barbarians out for gold, nor as profiteers
Hot for Old Masters, but for plunder
Nevertheless — some believing amore
Is better down South and much cheaper
(Which is doubtful), some persuaded exposure
To strong sunlight is lethal to germs
(Which is patently false) and others, like me,
In middle-age hoping to twig from
What we are not what we might be next, a question
The South seems never to raise. Perhaps
A tongue in which Nestor and Apemantus,
Don Ottavio and Don Giovanni make
Equally beautiful sounds is unequipped
To frame it, or perhaps in this heat
It is nonsense: the Myth of an Open Road
Which runs past the orchard gate and beckons
Three brothers in turn to set out over the hills
And far away, is an invention
Of a climate where it is a pleasure to walk
And a landscape less populated
Than this one. Even so, to us it looks very odd
Never to see an only child engrossed
In a game it has made up, a pair of friends
Making fun in a private lingo,
Or a body sauntering by himself who is not
Wanting, even as it perplexes
Our ears when cats are called Cat and dogs either
Lupo, Nero or Bobby. Their dining
Puts us to shame: we can only envy a people
So frugal by nature it costs them
No effort not to guzzle and swill. Yet (if I
Read their faces rightly after ten years)
They are without hope. The Greeks used to call the Sun
He-who-smites-from-afar, and from here, where
Shadows are dagger-edged, the daily ocean blue,
I can see what they meant: his unwinking
Outrageous eye laughs to scorn any notion
Of change or escape, and a silent
Ex-volcano, without a stream or a bird,
Echoes that laugh. This could be a reason
Why they take the sìlencers off their Vespas,
Turn their radios up to full volume,
And a minim saint can expect rockets — noise
As a counter-magic, a way of saying
Boo to the Three Sisters: 'Mortal we may be,
But we are stili here!' — might cause them to hanker
After proximities — in streets packed solid
With human flesh, their souls feel immune
To all metaphysical threats. We are rather shocked,
But we need shocking: to accept space, to own
That surfaces need not be superficial
Nor gestures vulgar, cannot really
Be taught within earshot of running water
Or in sight of a cloud. As pupils
We are not bad, but hopeless as tutors: Goethe,
Tapping homeric hexameters
On the shoulder-biade of a Roman girl, is
(I wish it were someone else) the figure
Of all our stamp: no doubt he treated her well,
But one would draw the line at calling
the Helena begotten on that occasion,
Queen of his Second Walpurgisnacht,
Her baby: between those who mean by a life a
Bildungsroman and those to whom living
Means to-be-visible-now, there yawns a gulf
Embraces cannot bridge. If we try
To 'go southern', we spoil in no time, we grow
Flabby, dingily lecherous, and
Forget to pay bills: that no one has heard of them
Taking the Pledge or turning to Yoga
Is a comforting thought — in that case, for all
The spiritual loot we tuck away,
We do them no harm — and entitles us, I think
To one little scream at A piacere,
Not two. Go I must, but I go grateful (even
To a certain Monte) and invoking
My sacred meridian names, Vico, Verga,
Pirandello, Bernini, Bellini,
To bless this region, its vendages, and those
Who call it home: though one cannot always
Remember exactly why one has been happy,
There is no forgetting that one was.
Traduzione
Addio al Mezzogiorno (per Carlo lzzo)
Usciti da un gotico nord, pallidi figli
D'una civiltà di patate e birra-o-whisky
E di colpa, ci comportiamo come i nostri padri e scendiamo
Nel Sud verso un riarso altrove
Di vigneti, barocco, la bella figura,
Queste femminili città dove gli uomini
Sono maschi e tutti fratello e sorella, ignari della spietata
Intima lotta verbale che s'insegna
Nei rettorati protestanti durante i piovigginosi
Pomeriggi domenicali, non più come lerci
Barbari in caccia d'oro, né come mercanti
Smaniosi dì Vecchi Maestri, ma pur sempre
Avidi di saccheggio: convinti, alcuni, che si faccia all'amore
Meglio nel Sud e molto più a buon mercato
(Il che è dubbio), persuasi altri, che l'esporsi
A un sole violento sia micidiale per i germi
(Il che è chiaramente balordo), e altri, come me,
Nella mezza età, mossi dalla speranza di scovare da
Ciò che non siamo quel che potremo essere in séguito, domanda
Che il Sud sembra non porsi mai. Forse
Una lingua nella quale Nestore e Apemanto,
Don Ottavio e Don Giovanni danno
Suoni egualmente belli, non è attrezzata
Per formularla, e forse in questa calura
Non ha senso: il mito d'una Strada Aperta
Che passa davanti al cancello dell'orto e invita
Tre fratelli ad andare uno dopo l'altro oltre i colli
E via lontano, è invenzione
D'un clima dove camminare è diletto,
E d'un paesaggio meno popoloso
Di questo. Pure, ci sembra molto strano
Non veder mai un figlio unico immerso
In un gioco almanaccato da lui, un paio d'amici
Scambiarsi scherzi in una lingua tutta loro,
O un non deficiente vagolare per conto suo,
Così come le nostre orecchie rimangono perplesse
Quando i gatti vengono chiamati gatto e i cani
Lupo o Nero o Bobby. Il loro modo di mangiare
Ci svergogna; non possiamo non invidiare un popolo
Così frugale per natura che non costa loro
Alcuno sforzo il non ingozzarsi e non sbevazzare: tuttavia (se
Leggo bene le loro facce dopo dieci anni)
Sono senza speranza. I Greci solevano chiamare il sole
Colui-che-colpisce-di-lontano, e da qui, dove
Le ombre hanno orli a taglio di lama, e l'oceano d'ogni giorno è azzurro,
Capisco che cosa intendevano: il suo occhio
Fermo e sdegnoso si fa beffe di qualsiasi idea
Di mutamento o evasione, e un muto
Vulcano spento, senza un corso d'acqua o un uccello
Echeggia quel riso. Questo è forse il motivo
Per cui tolgono il silenziatore dalle loro Vespe,
Aprono la radio al massimo,
E il menomo santo può aspettarsi i mortaretti — frastuono
Inteso per esorcismo, un modo di dare
La baia alle Tre Sorelle: «Può darsi che noi si sia mortali
Ma siamo ancora qui!» — e questo li rende forse desiderosi
Di contatti di gomito; in strade fittamente gremite
Di carne umana, le loro anime si sentono immuni
Da ogni minaccia metafisica. Noi siamo un po' sconcertati,
Ma abbiamo bisogno di esserlo: l'accettazione dello spazio, la
Convinzione che non è detto le superfici debbano essere superficiali
O i gesti volgari, non si possono veramente
Insegnare dove giunge all'orecchio il murmure dei torrenti
O in vista d'una nube. Come scolari
Non siamo malvagi, ma come maestri siamo impossibili: Goethe,
Che scandisce esametri omerici battendo il ritmo
Sulla scapola d'una ragazza romana, è
(Vorrei fosse un altro) l'immagine
Di tutto il nostro stampo. Senza dubbio la trattava bene,
Ma non ci si sente di chiamare
L'Elena generata in quell'occasione,
Regina della sua Seconda Walpurgìsnacht,
Figlia di lei: tra quelli che vedono nella vita un
Bildungsroman, e quelli per i quali vivere
Significa essere-visibili-ora, si spalanca un abisso
Sul quale gli abbracci non possono far ponte. Se cerchiamo
Di «meridionaìizzarci», in men che non si dica andiamo a rotoli,
Diventiamo flaccidi, lubricamente lussuriosi e
Dimentichiamo di pagare i conti: che mai si venga a sapere
Di loro che hanno fatto voto di non bere più o che si sono dati
Allo Yoga è un consolante pensiero — così con tutto
II bottino spirituale che portiamo via di soppiatto,
Non facciamo loro alcun male — e ci da il diritto, mi sembra,
Di rispondere con uno strilletto, non due,
Al loro «A piacere!» Devo proprio andarmene, ma me ne vado
Grato (perfino a un certo Signor Monte), e invoco
I miei sacri nomi meridiani: Pirandello,
Croce, Vico, Verga, Bellini,
Per benedire questo paese, le sue vendemmie e gli uomini
Che lo chiamano casa loro: sebbene non sempre si possa
Ricordare esattamente perché si è stati felici,
Non ci si dimentica d'esserlo stati.
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