Intervista a Mario, omosessuale italiano che si è sposato in Canada (con il suo compagno Grant).
Mario ha 63 anni e la sua storia è quella di un uomo nato in Italia che, a un certo punto della sua vita, decide di emigrare per vivere apertamente la propria sessualità. Nel raccontare la sua storia Mario mi fa capire quanto difficile fosse anche solo poter parlare liberamente di omosessualità in quegli anni, crescendo Mario non ha partecipato alle prime lotte di emancipazione omosessuale, la sua è stata un’ educazione religiosa con la presenza di un padre onesto ma molto rigido ed estremamente maschilista (Mario racconta che suo padre non andò alla laurea della sorella perché era una donna e quindi non era importante ciò che aveva ottenuto). Le prime esperienze omosessuali Mario le vive all’età di diciassette anni, siamo intorno al 1963 e uno dei luoghi d’incontro per omosessuali, a Napoli, è il teatro dell’opera San Carlo. La prima reazione di un giovane spaventato dalle proprie pulsioni sessuali e sentimentali è quella di correre in chiesa a confessare i propri “peccati”. La paura però non ferma il desiderio e Mario scopre altri luoghi d’incontro oltre al teatro ci sono i bagni della stazione e un giardino sul lungomare, sono incontri tesi, pieni di sospetti e di angoscia. Come si evince dalle sue parole Mario attraversa forse le fasi più importanti della rivoluzione omosessuale e le osserva da “esterno”, intanto anche in Italia si comincia a parlare di omosessualità, si comincia a usare la parola “gay” e a Napoli aprono i primi luoghi d’incontro ma è grazie alla letteratura che Mario capisce di non essere l’unica persona omosessuale al mondo, le sue ricerche e la sua biblioteca si arricchiscono di volumi diversi da quelli che aveva letto sino a quel momento. Riporto una delle frasi più significative del suo racconto, una frase che ci fa capire quanto fosse difficile, per quei tempi, vivere serenamente la propria omosessualità:
“Purtroppo quelli della mia generazione, quelli costretti dalla nostra società a nascondersi alla famiglia e agli altri, quelli che non ebbero la forza di esporsi (non a mia giustifica, ma in quegli anni era cosa impensabile nella media borghesia) si trovarono in una società nuova, che cambiava e si apriva sempre di più, ma senza il coraggio di affrontare le sue possibilità. Non ho mai ballato in pubblico con un uomo, sono andato solo un paio di volte in un locale gay ,mai a una manifestazione. Non eravamo, non siamo ne’ carne ne’ pesce… non troppo vecchi per non essere affascinati dalla libertà,non tanto giovani per saperla usare liberamente e senza scrupoli e paure.”
Mario si laurea in architettura anticipando i tempi con una tesi sull’uso dei computer nella progettazione (oggi è vista come una cosa ovvia ma a quei tempi non era così, anzi, molti docenti si opponevano) e intraprende un percorso universitario ben conosciuto da quanti hanno seguito le sue stesse orme, lavora gratis, pubblica libri scritti da lui con il nome del suo docente e quando, finalmente, si presenta l’opportunità di un concorso per un posto fisso a vincere non è lui (il tema era quello sviluppato nella sua tesi di laurea) ma una persona che, forse per caso, ha contatti con un esponente importante di un partito politico. Mario rinuncia alla carriera universitaria e intraprende quella di professore nella scuola pubblica, milita nel PCI (un PCI, lo ricordo, molto chiuso alle questioni omosessuali tanto che Mario non viene visto di buon occhio perché afferma che Proust è uno dei più grandi scrittori al mondo e che il capitale di Marx è un testo noioso), il lavoro di professore lo accompagnerà per trent’anni, anni vissuti come una agente segreto, impegnato a vivere in incognito la propria sessualità per non far capire nulla di se agli altri, fa il pendolare a Capri per vent’anni dove gli viene offerta una cattedra, luogo splendido ma difficile da raggiungere.
Con l’arrivo di Internet Mario scopre un mondo nuovo, tutto è a portata di mano, si può parlare liberamente di sessualità e di omosessualità, lui ha sempre viaggiato molto ma si è sempre tenuto lontano dai luoghi d’incontro per omosessuali è quindi grazie a internet che scopre i blog, i siti, le associazioni e comincia a realizzare che non è solo e che un mondo diverso è possibile.
Mi emoziono quando leggo questa frase:
“E quando mi trovai per la prima volta a Vancouver a un gay pride, mi sentii proprio felice di essere li’ ,anche solo a fare numero…anche se, lo confesso, la presenza di tanta gente “normale” mi dava quella sicurezza che la mia educazione necessitava per accettarmi.”
È difficile per me, a 34 anni, immaginare cosa sia significato vivere nell’ombra in un epoca difficile come quella in cui è vissuto Mario. Anche per me l’adolescenza è stata difficile e anche io ho avuto paura di essere me stesso, ma le possibilità erano a portata di mano, la cultura omosessuale era già viva e lottava per trovare un proprio posto nella società.
A 53 anni Mario incontra Grant (si conoscono in una chat per omosessuali), con lui instaura un rapporto che dura ancora oggi (dieci anni di vita insieme), con la pensione decide di trasferirsi in Canada luogo d’origine del suo compagno dove il matrimonio omosessuale è permesso: “Mi chiese di sposarlo una sera di capodanno, durante la nostra prima visita, sotto la neve, al pezzo di terreno che avevamo comprato nelle grandi praterie.”
Sembra quasi una bella favola quella di Mario, una vita vissuta nell’ombra, poi la consapevolezza del proprio essere e l’amore che arriva in età matura: “Ora vivo qui, in una piccola città, abbiamo anche una casa in riva a un lago che stiamo ristrutturando,viaggiamo molto. Grant lavora in una città vicina, fa il pendolare a 70 km, a volte ci vado anche io a fare spese o a dargli una mano. Faccio qualche lezione in corsi serali per adulti ,ma solo per riempire il tempo…e poi sono cose che nella scuola ho fatto per anni, compresi i corsi di computer per gli insegnanti. A volte vado a pescare, a volte a sciare nei boschi dietro il paese. Quando siamo stanchi andiamo su qualche lago in canoa o a fare un giro a Terranova, isola che ci ha affascinato moltissimo,anche se sta a 6 ore di aereo da qui…Per il resto la vita di una coppia normalissima:lui va a lavorare la mattina e torna la sera, io gli preparo la colazione e il pranzo da portarsi, faccio i letti, la spesa, cucino…gioco col gatto e curo i fiori del giardino, come una buona casalinga degli anni 50.”
Davanti a questa bella storia di crescita personale e di fiducia negli altri decido di fare qualche domanda a Mario che si mostra sin dall’inizio gentile e disponibile a parlare della sua vita.
Non era molto difficile,lasciamelo dire, bastava non toccare certi argomenti, glissare sulle fidanzate, non esporsi insomma. Certo c’erano le battutine, sguardi ammiccanti ma, personalmente, non ho mai apprezzato i gesti femminili,gli abiti trasgressivi, le voci acute etc… Certo ci potevano essere sospetti,ma dovuti più ai gusti personali (leggere, il teatro dell’opera, la Callas, niente partite di calcio, niente feste in discoteca, niente apprezzamenti sessuali nei discorsi, etc).
A volte si percepiva una ironia velata, ma in vita mia nessuno mi ha mai fatto una domanda diretta. Ti racconto un piccolo episodio divertente. Al liceo facevo parte di un gruppo di amici e amiche, ci vedevamo tutti i giorni a casa di uno di loro, una bella villa antica disabitata in parte. Per anni abbiamo organizzato feste, mascherate, viaggi, gite. Andavamo nella stessa scuola e fra tutti noi, eravamo una ventina, 8 o 9 erano i più assidui, quelli che andavamo a teatro insieme, a fischiare la Tebaldi, non abbiamo mai parlato di sessualità, in 10 anni di amicizia quotidiana. Poi quando la vita ci ha diviso (lavoro, studio, università) abbiamo scoperto che quegli 8/9 eravamo tutti gay.
Gli altri si sono sposati, hanno famiglie, alcuni compaiono sui giornali con frequenza, ma mai nessuno ci chiese se eravamo diversi.
Di dichiarato,non ne conoscevo nessuno, era difficile che qualcuno lo facesse al di fuori del proprio gruppo.
A Napoli i femminielli sono generalmente accettati, con un sorriso, ma lo sono,f anno parte della cultura popolare, i gay che non si travestono no. Erano, e sono chiamati ricchioni e vengono emarginati.
Quando vidi il primo travestito (?) era una donna ma con la barba, la voce e gli atteggiamenti maschili, per anni mi toccai il petto timoroso che potesse crescere anche a me…
Durante gli anni dell’insegnamento o, in generale, durante gli anni trascorsi in Italia, hai mai pensato a dichiararti? Com’era il tuo rapporto, da insegnante, con il mondo della cultura giovanile di quegli anni?
No, non ho mai pensato di dichiararmi oltre la stretta cerchia dei miei amici, quelli gay, per tutti gli altri non ne ho mai sentito il bisogno. Per pudore? Non credo, più per paura, era un periodo in cui di omosessualità non si parlava molto, sui giornali o in TV e la gente non ci faceva troppo caso. Oggi credo che ci sia più curiosità come se ci si sentisse obbligati in un modo o nell’altro a prendere una posizione in merito.
Ovviamente non mi sogno di dire che la cosa non fosse evidente, ma in generale se non ne parlavi e non provocavi non ottenevi domande imbarazzanti.
Da insegnante non ho mai avuto problemi, certo non mancavano occasioni in cui difendevo i diritti dei gay, mi piaceva molto insistere sull’ambiguità di certe figure della storia dell’arte per esempio e sui metodi di santa romana chiesa nei loro confronti, per il resto qualche volta percepii qualche sorrisetto alle mie spalle, ma le (poche)letterine d’amore delle ragazzine trovate nei miei registri non credo fossero tutte sfotto’ o provocazioni.
E poi il mio metodo per affrontare queste cose e’ sempre stato il sorriso, l’ironia, la battuta.
Tuttora evito di accettare amicizie di miei ex alunni su facebook per esempio o di presentare Grant come il mio compagno ma solo a Capri. Un qualche senso del pudore me lo vieta perché dare al piccolo paesello la soddisfazione di dire : l’avevo detto! Oppure: Hai saputo? ti ricordi?
Detesto i siti gay in generale, sembriamo tutti delle checche paurose e assatanate, quello e’ un genere di mondo a cui non appartengo, l’epoca in cui ho vissuto, lo ripeto ancora, e l’ambiente sociale in cui mi sono trovato non lo permetteva e mi e’ rimasto quel rifiuto viscerale a usare il femminile.
Grant per esempio lo usa con tutti i suoi amici gay e a me da molto fastidio.
Negli altri paesi il movimento gay e’ una forza politica, ha obiettivi precisi, sa di poter influenzare le scelte che lo riguardano. Da noi c’è questa generalizzata indifferenza. Conosco troppi gay che non sono interessati al matrimonio per esempio. Come se questo non fosse un diritto, uno dei tanti da ottenere, ma un optional. E quindi a loro sta bene cosi, basterebbero più locali, più gay village, più film festivals, più luoghi di villeggiatura per omosessuali.
Questo l’ho capito tardi, lo ammetto. Ma sto provando a fare qualcosa: quando decidemmo di sposarci mandai un invito formale, formalissimo, ai miei vecchi clienti da architetto (ormai più amici che altro), ai colleghi più sensibili incontrati nelle scuole di mezza Italia, alle amiche di mia sorella, agli amici con cui non avevamo mai toccato l’argomento. A Vancouver ci sposammo in un museo e arrivarono fiori e telegrammi, addirittura regali di nozze.
Quando hai maturato l’idea di andare via dall’Italia? E perché proprio il Canada?
Dall’Italia me ne sarei voluto andare ai tempi della laurea, l’università di Glasgow mi offrì una borsa di studio per due anni, dopo il lavoro fatto sulla mia tesi ai loro computer ma il professore da cui mi aspettavo aiuto mi disse chiaramente che se me ne fossi andato non mi avrebbe promesso più niente per l’università in Italia e ,da cretino, rinunciai.
Il Canada e’ stato scelto perché ho incontrato Grant che e’ canadese e viveva li. Avrebbe voluto trasferirsi in Italia, poverino non aveva idea della legislazione attuale. Non e’ uno dei miei paesi favoriti sono più per il caldo, avrei voluto andare in Polinesia oppure in una grande città europea, dopo la pensione ovviamente.
La tua famiglia sa che ti sei sposato con un uomo?
Mia madre ovviamente aveva capito che ero gay, ma non se ne parlava apertamente, lei apparteneva a un’altra generazione che di queste cose non discuteva anche se a volte, da qualche commento, si capiva che ne era a conoscenza. Mia sorella sa da una ventina di anni glielo raccontai dopo l’ennesima rottura,
mio padre e’ morto molto tempo fa.
Quando e’ morta anche mia madre, un brutto periodo di due anni tra alzheimer e ictus, cominciai a prendere in considerazione l’idea di andarmene via dall’Italia, prima sarebbe stato impossibile. Non mi piace l’idea di abbandonare i vecchi e i malati anche se si tratta della nostra vita.
Mia sorella fu la testimone alle nostre nozze a Vancouver.
Ovviamente lo sa suo marito che più di una volta e’ venuto a trovarci.
Come è stata accolta la vostra relazione in Canada? Quali diritti/doveri spettano alle coppie omosessuali? Credi che il Canada, luogo in cui è possibile sposarsi, sia un posto, come dicono coloro che si oppongono al matrimonio omosessuale, decadente? In Canada è permesso adottare? Se sì, ci hai mai pensato?
Qui sia la nostra relazione che il matrimonio non hanno suscitato nessun commento, anzi quando qualcuno mi chiede perché mai da Capri sono venuto a vivere in questo posto (d’inverno arriviamo a - 40 gradi) e io rispondo: perché ho sposato lui, di solito sorridono e fanno: ah, che si fa per amore!
Da notare che ho qui una grande facilità a dire che sono sposato con un uomo, ho capito che anche se il mio interlocutore non e’ d’accordo (ci sono anche fondamentalisti cristiani in giro, o vecchi farmers isterici rimasti ai tempi degli indiani) nessuno avrebbe mai il coraggio o l’arroganza di commentare. Al più rispondono con un ah, capisco. Il rispetto degli altri qui arriva a punte, a volte, paradossali (sono terrorizzati dall’idea di essere rudi o invadenti nel tuo privato), sfiorando la falsità più totale, ma se non rompi le regole del vivere civile e tranquillo, nessuno osa dire niente.
La cosa fondamentale e per certi versi più incredibile per noi italiani e’ che nessuno si sogna nemmeno di non rispettare le regole!
Ovviamente esistono anche qui assurdità burocratiche, ma e’ il concetto di “trasgredire le regole” che e’ piuttosto ignoto.
Il Canada un paese decadente? Bisognerebbe avere una storia alle spalle e questi non ne hanno affatto e’ un posto troppo giovane per poterlo essere. La cosa che io credo fondamentale e’ che questo e’ un paese senza storia e senza un popolo diciamo autoctono. Un paese fatto di mille razze diverse il cui scopo e’ da sempre stato quello di amalgamarle il più possibile. Qui prima si e’ canadesi, poi cinesi, indiani, italiani. Il rispetto per le minoranze e’ parte integrale della loro mentalità, proprio perché è un paese fatto da minoranze.
Qui si può adottare e avere l’affidamento. Grant lo vorrebbe. Io sono troppo vecchio per farlo, e forse troppo egoista. Mi basta una terribile gatta siamese che mi sveglia appena sorge il sole.
Anche in Canada, ogni volta che ci sono dei gay pride, i mass media e i politici sollevano polemiche?
Questa domanda l’ho rivolta a Grant e mi ha riso in faccia chiedendomi se ero impazzito.
Nelle grandi città le strade sono piene di gente con bambini e famiglie, ai gay pride sfilano sindaci e tutte le autorità, ci sono i carri dei pompieri e della polizia, ma anche di tutte le banche, supermercati e associazioni religiose.
Ci sono politici contrari al matrimonio tra persone dello stesso sesso ovviamente, ma mai si sognerebbero di protestare per un gaypride. Qui La libertà di espressione non e’ discussa da nessuno. Non sei d’accordo? Non ci vai. Punto.
Giornali e televisioni si comportano come fosse una partita di pallone, danno la notizia, di solito con simpatia e basta.
Alla televisione c’è un canale gay molto seguito che trasmette film e telefilm solo a tematica omosessuale, e spesso interessanti dibattiti e documentari che da noi farebbero gridare al sacrilegio. Cosa che d’altra parte avviene anche in tanti altri canali.
Che cosa ti manca maggiormente dell’Italia? Da omosessuale emigrato come vedi, oggi, il nostro paese? Torneresti?
Mi manca il mare e la nostra storia.
Abito a 3 giorni di macchina dalla spiaggia più vicina e la cosa più antica che c’è in questa Provincia e’ del 1870.
Come vedo l’Italia? Un paese medioevale, ancora con le torri e le mura, con i vescovi a cavallo con l’armatura. Un paese come l’Iran ,certamente incivile.
Tornerei? no. L’Italia e’ bella per farci il turista, per viverci ci sono posti migliori al mondo, specie se sei un omosessuale, ma non solo.
Ed è bello,quando arrivi e dichiari di essere sposato con un altro uomo ( lo faccio apposta, lo confesso) sentire il poliziotto dell’aeroporto dirti con un sorriso: benvenuto a casa.
Marino Buzzi
Mario ha 63 anni e la sua storia è quella di un uomo nato in Italia che, a un certo punto della sua vita, decide di emigrare per vivere apertamente la propria sessualità. Nel raccontare la sua storia Mario mi fa capire quanto difficile fosse anche solo poter parlare liberamente di omosessualità in quegli anni, crescendo Mario non ha partecipato alle prime lotte di emancipazione omosessuale, la sua è stata un’ educazione religiosa con la presenza di un padre onesto ma molto rigido ed estremamente maschilista (Mario racconta che suo padre non andò alla laurea della sorella perché era una donna e quindi non era importante ciò che aveva ottenuto). Le prime esperienze omosessuali Mario le vive all’età di diciassette anni, siamo intorno al 1963 e uno dei luoghi d’incontro per omosessuali, a Napoli, è il teatro dell’opera San Carlo. La prima reazione di un giovane spaventato dalle proprie pulsioni sessuali e sentimentali è quella di correre in chiesa a confessare i propri “peccati”. La paura però non ferma il desiderio e Mario scopre altri luoghi d’incontro oltre al teatro ci sono i bagni della stazione e un giardino sul lungomare, sono incontri tesi, pieni di sospetti e di angoscia. Come si evince dalle sue parole Mario attraversa forse le fasi più importanti della rivoluzione omosessuale e le osserva da “esterno”, intanto anche in Italia si comincia a parlare di omosessualità, si comincia a usare la parola “gay” e a Napoli aprono i primi luoghi d’incontro ma è grazie alla letteratura che Mario capisce di non essere l’unica persona omosessuale al mondo, le sue ricerche e la sua biblioteca si arricchiscono di volumi diversi da quelli che aveva letto sino a quel momento. Riporto una delle frasi più significative del suo racconto, una frase che ci fa capire quanto fosse difficile, per quei tempi, vivere serenamente la propria omosessualità:
“Purtroppo quelli della mia generazione, quelli costretti dalla nostra società a nascondersi alla famiglia e agli altri, quelli che non ebbero la forza di esporsi (non a mia giustifica, ma in quegli anni era cosa impensabile nella media borghesia) si trovarono in una società nuova, che cambiava e si apriva sempre di più, ma senza il coraggio di affrontare le sue possibilità. Non ho mai ballato in pubblico con un uomo, sono andato solo un paio di volte in un locale gay ,mai a una manifestazione. Non eravamo, non siamo ne’ carne ne’ pesce… non troppo vecchi per non essere affascinati dalla libertà,non tanto giovani per saperla usare liberamente e senza scrupoli e paure.”
Mario si laurea in architettura anticipando i tempi con una tesi sull’uso dei computer nella progettazione (oggi è vista come una cosa ovvia ma a quei tempi non era così, anzi, molti docenti si opponevano) e intraprende un percorso universitario ben conosciuto da quanti hanno seguito le sue stesse orme, lavora gratis, pubblica libri scritti da lui con il nome del suo docente e quando, finalmente, si presenta l’opportunità di un concorso per un posto fisso a vincere non è lui (il tema era quello sviluppato nella sua tesi di laurea) ma una persona che, forse per caso, ha contatti con un esponente importante di un partito politico. Mario rinuncia alla carriera universitaria e intraprende quella di professore nella scuola pubblica, milita nel PCI (un PCI, lo ricordo, molto chiuso alle questioni omosessuali tanto che Mario non viene visto di buon occhio perché afferma che Proust è uno dei più grandi scrittori al mondo e che il capitale di Marx è un testo noioso), il lavoro di professore lo accompagnerà per trent’anni, anni vissuti come una agente segreto, impegnato a vivere in incognito la propria sessualità per non far capire nulla di se agli altri, fa il pendolare a Capri per vent’anni dove gli viene offerta una cattedra, luogo splendido ma difficile da raggiungere.
Con l’arrivo di Internet Mario scopre un mondo nuovo, tutto è a portata di mano, si può parlare liberamente di sessualità e di omosessualità, lui ha sempre viaggiato molto ma si è sempre tenuto lontano dai luoghi d’incontro per omosessuali è quindi grazie a internet che scopre i blog, i siti, le associazioni e comincia a realizzare che non è solo e che un mondo diverso è possibile.
Mi emoziono quando leggo questa frase:
“E quando mi trovai per la prima volta a Vancouver a un gay pride, mi sentii proprio felice di essere li’ ,anche solo a fare numero…anche se, lo confesso, la presenza di tanta gente “normale” mi dava quella sicurezza che la mia educazione necessitava per accettarmi.”
È difficile per me, a 34 anni, immaginare cosa sia significato vivere nell’ombra in un epoca difficile come quella in cui è vissuto Mario. Anche per me l’adolescenza è stata difficile e anche io ho avuto paura di essere me stesso, ma le possibilità erano a portata di mano, la cultura omosessuale era già viva e lottava per trovare un proprio posto nella società.
A 53 anni Mario incontra Grant (si conoscono in una chat per omosessuali), con lui instaura un rapporto che dura ancora oggi (dieci anni di vita insieme), con la pensione decide di trasferirsi in Canada luogo d’origine del suo compagno dove il matrimonio omosessuale è permesso: “Mi chiese di sposarlo una sera di capodanno, durante la nostra prima visita, sotto la neve, al pezzo di terreno che avevamo comprato nelle grandi praterie.”
Sembra quasi una bella favola quella di Mario, una vita vissuta nell’ombra, poi la consapevolezza del proprio essere e l’amore che arriva in età matura: “Ora vivo qui, in una piccola città, abbiamo anche una casa in riva a un lago che stiamo ristrutturando,viaggiamo molto. Grant lavora in una città vicina, fa il pendolare a 70 km, a volte ci vado anche io a fare spese o a dargli una mano. Faccio qualche lezione in corsi serali per adulti ,ma solo per riempire il tempo…e poi sono cose che nella scuola ho fatto per anni, compresi i corsi di computer per gli insegnanti. A volte vado a pescare, a volte a sciare nei boschi dietro il paese. Quando siamo stanchi andiamo su qualche lago in canoa o a fare un giro a Terranova, isola che ci ha affascinato moltissimo,anche se sta a 6 ore di aereo da qui…Per il resto la vita di una coppia normalissima:lui va a lavorare la mattina e torna la sera, io gli preparo la colazione e il pranzo da portarsi, faccio i letti, la spesa, cucino…gioco col gatto e curo i fiori del giardino, come una buona casalinga degli anni 50.”
Davanti a questa bella storia di crescita personale e di fiducia negli altri decido di fare qualche domanda a Mario che si mostra sin dall’inizio gentile e disponibile a parlare della sua vita.
Mario ci hai raccontato di un mondo che molti ragazzi, oggi, non conoscono. Delle difficoltà di incontrare gente prima di internet, della paura di essere l’unico omosessuale al mondo. Com’era vivere da diverso in quegli anni? Cosa percepivi sull’argomento dalla gente che ti stava attorno? Conoscevi qualcuno “dichiarato”?
Non era molto difficile,lasciamelo dire, bastava non toccare certi argomenti, glissare sulle fidanzate, non esporsi insomma. Certo c’erano le battutine, sguardi ammiccanti ma, personalmente, non ho mai apprezzato i gesti femminili,gli abiti trasgressivi, le voci acute etc… Certo ci potevano essere sospetti,ma dovuti più ai gusti personali (leggere, il teatro dell’opera, la Callas, niente partite di calcio, niente feste in discoteca, niente apprezzamenti sessuali nei discorsi, etc).
A volte si percepiva una ironia velata, ma in vita mia nessuno mi ha mai fatto una domanda diretta. Ti racconto un piccolo episodio divertente. Al liceo facevo parte di un gruppo di amici e amiche, ci vedevamo tutti i giorni a casa di uno di loro, una bella villa antica disabitata in parte. Per anni abbiamo organizzato feste, mascherate, viaggi, gite. Andavamo nella stessa scuola e fra tutti noi, eravamo una ventina, 8 o 9 erano i più assidui, quelli che andavamo a teatro insieme, a fischiare la Tebaldi, non abbiamo mai parlato di sessualità, in 10 anni di amicizia quotidiana. Poi quando la vita ci ha diviso (lavoro, studio, università) abbiamo scoperto che quegli 8/9 eravamo tutti gay.
Gli altri si sono sposati, hanno famiglie, alcuni compaiono sui giornali con frequenza, ma mai nessuno ci chiese se eravamo diversi.
Di dichiarato,non ne conoscevo nessuno, era difficile che qualcuno lo facesse al di fuori del proprio gruppo.
A Napoli i femminielli sono generalmente accettati, con un sorriso, ma lo sono,f anno parte della cultura popolare, i gay che non si travestono no. Erano, e sono chiamati ricchioni e vengono emarginati.
Quando vidi il primo travestito (?) era una donna ma con la barba, la voce e gli atteggiamenti maschili, per anni mi toccai il petto timoroso che potesse crescere anche a me…
Durante gli anni dell’insegnamento o, in generale, durante gli anni trascorsi in Italia, hai mai pensato a dichiararti? Com’era il tuo rapporto, da insegnante, con il mondo della cultura giovanile di quegli anni?
No, non ho mai pensato di dichiararmi oltre la stretta cerchia dei miei amici, quelli gay, per tutti gli altri non ne ho mai sentito il bisogno. Per pudore? Non credo, più per paura, era un periodo in cui di omosessualità non si parlava molto, sui giornali o in TV e la gente non ci faceva troppo caso. Oggi credo che ci sia più curiosità come se ci si sentisse obbligati in un modo o nell’altro a prendere una posizione in merito.
Ovviamente non mi sogno di dire che la cosa non fosse evidente, ma in generale se non ne parlavi e non provocavi non ottenevi domande imbarazzanti.
Da insegnante non ho mai avuto problemi, certo non mancavano occasioni in cui difendevo i diritti dei gay, mi piaceva molto insistere sull’ambiguità di certe figure della storia dell’arte per esempio e sui metodi di santa romana chiesa nei loro confronti, per il resto qualche volta percepii qualche sorrisetto alle mie spalle, ma le (poche)letterine d’amore delle ragazzine trovate nei miei registri non credo fossero tutte sfotto’ o provocazioni.
E poi il mio metodo per affrontare queste cose e’ sempre stato il sorriso, l’ironia, la battuta.
Tuttora evito di accettare amicizie di miei ex alunni su facebook per esempio o di presentare Grant come il mio compagno ma solo a Capri. Un qualche senso del pudore me lo vieta perché dare al piccolo paesello la soddisfazione di dire : l’avevo detto! Oppure: Hai saputo? ti ricordi?
Detesto i siti gay in generale, sembriamo tutti delle checche paurose e assatanate, quello e’ un genere di mondo a cui non appartengo, l’epoca in cui ho vissuto, lo ripeto ancora, e l’ambiente sociale in cui mi sono trovato non lo permetteva e mi e’ rimasto quel rifiuto viscerale a usare il femminile.
Grant per esempio lo usa con tutti i suoi amici gay e a me da molto fastidio.
Negli altri paesi il movimento gay e’ una forza politica, ha obiettivi precisi, sa di poter influenzare le scelte che lo riguardano. Da noi c’è questa generalizzata indifferenza. Conosco troppi gay che non sono interessati al matrimonio per esempio. Come se questo non fosse un diritto, uno dei tanti da ottenere, ma un optional. E quindi a loro sta bene cosi, basterebbero più locali, più gay village, più film festivals, più luoghi di villeggiatura per omosessuali.
Questo l’ho capito tardi, lo ammetto. Ma sto provando a fare qualcosa: quando decidemmo di sposarci mandai un invito formale, formalissimo, ai miei vecchi clienti da architetto (ormai più amici che altro), ai colleghi più sensibili incontrati nelle scuole di mezza Italia, alle amiche di mia sorella, agli amici con cui non avevamo mai toccato l’argomento. A Vancouver ci sposammo in un museo e arrivarono fiori e telegrammi, addirittura regali di nozze.
Quando hai maturato l’idea di andare via dall’Italia? E perché proprio il Canada?
Dall’Italia me ne sarei voluto andare ai tempi della laurea, l’università di Glasgow mi offrì una borsa di studio per due anni, dopo il lavoro fatto sulla mia tesi ai loro computer ma il professore da cui mi aspettavo aiuto mi disse chiaramente che se me ne fossi andato non mi avrebbe promesso più niente per l’università in Italia e ,da cretino, rinunciai.
Il Canada e’ stato scelto perché ho incontrato Grant che e’ canadese e viveva li. Avrebbe voluto trasferirsi in Italia, poverino non aveva idea della legislazione attuale. Non e’ uno dei miei paesi favoriti sono più per il caldo, avrei voluto andare in Polinesia oppure in una grande città europea, dopo la pensione ovviamente.
La tua famiglia sa che ti sei sposato con un uomo?
Mia madre ovviamente aveva capito che ero gay, ma non se ne parlava apertamente, lei apparteneva a un’altra generazione che di queste cose non discuteva anche se a volte, da qualche commento, si capiva che ne era a conoscenza. Mia sorella sa da una ventina di anni glielo raccontai dopo l’ennesima rottura,
mio padre e’ morto molto tempo fa.
Quando e’ morta anche mia madre, un brutto periodo di due anni tra alzheimer e ictus, cominciai a prendere in considerazione l’idea di andarmene via dall’Italia, prima sarebbe stato impossibile. Non mi piace l’idea di abbandonare i vecchi e i malati anche se si tratta della nostra vita.
Mia sorella fu la testimone alle nostre nozze a Vancouver.
Ovviamente lo sa suo marito che più di una volta e’ venuto a trovarci.
Come è stata accolta la vostra relazione in Canada? Quali diritti/doveri spettano alle coppie omosessuali? Credi che il Canada, luogo in cui è possibile sposarsi, sia un posto, come dicono coloro che si oppongono al matrimonio omosessuale, decadente? In Canada è permesso adottare? Se sì, ci hai mai pensato?
Qui sia la nostra relazione che il matrimonio non hanno suscitato nessun commento, anzi quando qualcuno mi chiede perché mai da Capri sono venuto a vivere in questo posto (d’inverno arriviamo a - 40 gradi) e io rispondo: perché ho sposato lui, di solito sorridono e fanno: ah, che si fa per amore!
Da notare che ho qui una grande facilità a dire che sono sposato con un uomo, ho capito che anche se il mio interlocutore non e’ d’accordo (ci sono anche fondamentalisti cristiani in giro, o vecchi farmers isterici rimasti ai tempi degli indiani) nessuno avrebbe mai il coraggio o l’arroganza di commentare. Al più rispondono con un ah, capisco. Il rispetto degli altri qui arriva a punte, a volte, paradossali (sono terrorizzati dall’idea di essere rudi o invadenti nel tuo privato), sfiorando la falsità più totale, ma se non rompi le regole del vivere civile e tranquillo, nessuno osa dire niente.
La cosa fondamentale e per certi versi più incredibile per noi italiani e’ che nessuno si sogna nemmeno di non rispettare le regole!
Ovviamente esistono anche qui assurdità burocratiche, ma e’ il concetto di “trasgredire le regole” che e’ piuttosto ignoto.
Il Canada un paese decadente? Bisognerebbe avere una storia alle spalle e questi non ne hanno affatto e’ un posto troppo giovane per poterlo essere. La cosa che io credo fondamentale e’ che questo e’ un paese senza storia e senza un popolo diciamo autoctono. Un paese fatto di mille razze diverse il cui scopo e’ da sempre stato quello di amalgamarle il più possibile. Qui prima si e’ canadesi, poi cinesi, indiani, italiani. Il rispetto per le minoranze e’ parte integrale della loro mentalità, proprio perché è un paese fatto da minoranze.
Qui si può adottare e avere l’affidamento. Grant lo vorrebbe. Io sono troppo vecchio per farlo, e forse troppo egoista. Mi basta una terribile gatta siamese che mi sveglia appena sorge il sole.
Anche in Canada, ogni volta che ci sono dei gay pride, i mass media e i politici sollevano polemiche?
Questa domanda l’ho rivolta a Grant e mi ha riso in faccia chiedendomi se ero impazzito.
Nelle grandi città le strade sono piene di gente con bambini e famiglie, ai gay pride sfilano sindaci e tutte le autorità, ci sono i carri dei pompieri e della polizia, ma anche di tutte le banche, supermercati e associazioni religiose.
Ci sono politici contrari al matrimonio tra persone dello stesso sesso ovviamente, ma mai si sognerebbero di protestare per un gaypride. Qui La libertà di espressione non e’ discussa da nessuno. Non sei d’accordo? Non ci vai. Punto.
Giornali e televisioni si comportano come fosse una partita di pallone, danno la notizia, di solito con simpatia e basta.
Alla televisione c’è un canale gay molto seguito che trasmette film e telefilm solo a tematica omosessuale, e spesso interessanti dibattiti e documentari che da noi farebbero gridare al sacrilegio. Cosa che d’altra parte avviene anche in tanti altri canali.
Che cosa ti manca maggiormente dell’Italia? Da omosessuale emigrato come vedi, oggi, il nostro paese? Torneresti?
Mi manca il mare e la nostra storia.
Abito a 3 giorni di macchina dalla spiaggia più vicina e la cosa più antica che c’è in questa Provincia e’ del 1870.
Come vedo l’Italia? Un paese medioevale, ancora con le torri e le mura, con i vescovi a cavallo con l’armatura. Un paese come l’Iran ,certamente incivile.
Tornerei? no. L’Italia e’ bella per farci il turista, per viverci ci sono posti migliori al mondo, specie se sei un omosessuale, ma non solo.
Ed è bello,quando arrivi e dichiari di essere sposato con un altro uomo ( lo faccio apposta, lo confesso) sentire il poliziotto dell’aeroporto dirti con un sorriso: benvenuto a casa.
Marino Buzzi
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