TEL AVIV - La città che ha fatto della tolleranza e della trasgressione le sue attrazioni si piega sgomenta davanti alle vittime (Liz Tarobishi, 16 anni e Nir Katz, 25) di un delitto che nessuno pensava sarebbe mai potuto accedere qui, a Tel Aviv, in Israele, nel paese dove gay e lesbiche godono dei diritti e delle opportunità di tutti gli altri cittadini, ma che, a giudizio di molti, sembra essersi sprigionato da un grumo di odio nascosto da qualche parte nella società.
Diciamo subito che, a dispetto di annunci roboanti come quello che vorrebbe centinaia di poliziotti impegnati in un´incessante «caccia all´uomo» addirittura «porta a porta», del killer solitario sembra essersi persa ogni traccia. Arrivato in moto vestito di nero, il viso nascosto da un passamontagna, l´uomo ha aperto il fuoco all´impazzata, contro decine di giovani che, come ogni sabato sera, affollavano gli angusti locali della Società per la protezione dei diritti della persona (Sppr), forse la più antica delle organizzazioni israeliane per la difesa dei diritti degli omosessuali, lasciando a terra due morti e una dozzina di feriti. Poi si è dileguato, fantasma notturno, tra le rutilanti strade del quartiere dove si concentra molta della cosiddetta «movida» di Tel Aviv. Un lavoro facile e ben organizzato, sicuramente premeditato, dice la polizia che, dopo aver escluso il terrorismo palestinese, sembra seguire tanto la pista del «delitto esemplare», motivato da una sorta di fobia contro gli omosessuali, un atto nella sostanza terroristico, quanto l´ipotesi di un atto passionale: ma perché, in questo caso, sparare nel mucchio?
Qui, davanti alla sede del Centro, al piano interrato di un´anonima palazzina degli anni ‘50 dai muri scrostati, è facile immaginare l´orrore di quella notte. Sulla scala che conduce di sotto, alle due stanzette affollate di giovani che ascoltavano musica e chiacchieravano fra di loro, restano chiazze di sangue rappreso.
«Eravamo come topi in trappola - racconta Mir, una giovane testimone - non avevamo dove fuggire. Lui è arrivato all´improvviso e senza dire una parola ha cominciato a sparare a destra e a manca. Poi ha riposto la pistola e se n´è andato. Nessuno ha pianto. Nessuno ha gridato. C´era soltanto un gran silenzio». Nel giardinetto altro sangue avvolge un cavo d´antenna forse usato per bloccare un´emorragia. Sul marciapiedi candele, fiori che muoiono presto sotto la gran calura, telecamere che filmano gli agenti che impediscono di visitare il luogo.
Avi Sofer, un disegnatore di gioielli oltre che uno degli organizzatori del centro, confessa: «Non ce l´aspettavamo. Questa è una città libera, la tolleranza verso gli omosessuali non è vuota propaganda ma una politica abbracciata dal Comune che da anni ha organizzato un grande centro di assistenza per gay e lesbiche. Piccole cose, sì, qua e là, ma niente di serio, fino all´accoltellamento di Gerusalemme, quattro anni fa». Quando mancava poco all´inizio della prima Gay pride parade organizzata nella Città santa, con grande scandalo degli integralisti di tutte e tre le religioni monoteiste, un ebreo ultraortodosso accoltellò tre manifestanti, uno dei quali seriamente. «E´ stato condannato a tre anni, uno gli è stato condonato - dice Avi Sofer - la vita costa poco da queste parti. Oggi io non condanno nessuno. Dico, però che questo delitto nasce dall´odio verso i gay e che alcuni politici alla Knesset devono stare attenti a ciò che dicono: c´è chi ascolta».
E´ una strana atmosfera quella che si respira oggi a Tel Aviv, qualcosa di già visto, già vissuto all´indomani dell´omicidio di Ytzhak Rabin. Anche adesso come allora c´è chi parla di «attentato alla democrazia» e di «incitamento». Nel pomeriggio, davanti a centinaia di giovani venuti a dimostrare la loro solidarietà, Shelly Yakimovitch del partito laburista dice alla folla: «La pistola non ha sparato da sola, il killer non ha agito da solo, dietro di lui c´era incitamento e odio». Persino Tzpi Livni, cautamente, invita tutti, tutti, a un´«autoriflessione». Il tam tam delle radio trasmette un coro di condanne, da sinistra a destra, dal vertice alla base della piramide del potere. I dirigenti dello Shas, il partito ultraortodosso sefardita, che hanno condotto una campagna incessante contro l´omosessualità, considerata un abominio, è fra i primi a «denunciare senza riserve» l´evento delittuoso. Idem i grandi rabbini. Anche questo riporta alla memoria i giorni di Rabin, quando anzichè cercare i perché tutti corsero a dettare la loro condanna.
Diciamo subito che, a dispetto di annunci roboanti come quello che vorrebbe centinaia di poliziotti impegnati in un´incessante «caccia all´uomo» addirittura «porta a porta», del killer solitario sembra essersi persa ogni traccia. Arrivato in moto vestito di nero, il viso nascosto da un passamontagna, l´uomo ha aperto il fuoco all´impazzata, contro decine di giovani che, come ogni sabato sera, affollavano gli angusti locali della Società per la protezione dei diritti della persona (Sppr), forse la più antica delle organizzazioni israeliane per la difesa dei diritti degli omosessuali, lasciando a terra due morti e una dozzina di feriti. Poi si è dileguato, fantasma notturno, tra le rutilanti strade del quartiere dove si concentra molta della cosiddetta «movida» di Tel Aviv. Un lavoro facile e ben organizzato, sicuramente premeditato, dice la polizia che, dopo aver escluso il terrorismo palestinese, sembra seguire tanto la pista del «delitto esemplare», motivato da una sorta di fobia contro gli omosessuali, un atto nella sostanza terroristico, quanto l´ipotesi di un atto passionale: ma perché, in questo caso, sparare nel mucchio?
Qui, davanti alla sede del Centro, al piano interrato di un´anonima palazzina degli anni ‘50 dai muri scrostati, è facile immaginare l´orrore di quella notte. Sulla scala che conduce di sotto, alle due stanzette affollate di giovani che ascoltavano musica e chiacchieravano fra di loro, restano chiazze di sangue rappreso.
«Eravamo come topi in trappola - racconta Mir, una giovane testimone - non avevamo dove fuggire. Lui è arrivato all´improvviso e senza dire una parola ha cominciato a sparare a destra e a manca. Poi ha riposto la pistola e se n´è andato. Nessuno ha pianto. Nessuno ha gridato. C´era soltanto un gran silenzio». Nel giardinetto altro sangue avvolge un cavo d´antenna forse usato per bloccare un´emorragia. Sul marciapiedi candele, fiori che muoiono presto sotto la gran calura, telecamere che filmano gli agenti che impediscono di visitare il luogo.
Avi Sofer, un disegnatore di gioielli oltre che uno degli organizzatori del centro, confessa: «Non ce l´aspettavamo. Questa è una città libera, la tolleranza verso gli omosessuali non è vuota propaganda ma una politica abbracciata dal Comune che da anni ha organizzato un grande centro di assistenza per gay e lesbiche. Piccole cose, sì, qua e là, ma niente di serio, fino all´accoltellamento di Gerusalemme, quattro anni fa». Quando mancava poco all´inizio della prima Gay pride parade organizzata nella Città santa, con grande scandalo degli integralisti di tutte e tre le religioni monoteiste, un ebreo ultraortodosso accoltellò tre manifestanti, uno dei quali seriamente. «E´ stato condannato a tre anni, uno gli è stato condonato - dice Avi Sofer - la vita costa poco da queste parti. Oggi io non condanno nessuno. Dico, però che questo delitto nasce dall´odio verso i gay e che alcuni politici alla Knesset devono stare attenti a ciò che dicono: c´è chi ascolta».
E´ una strana atmosfera quella che si respira oggi a Tel Aviv, qualcosa di già visto, già vissuto all´indomani dell´omicidio di Ytzhak Rabin. Anche adesso come allora c´è chi parla di «attentato alla democrazia» e di «incitamento». Nel pomeriggio, davanti a centinaia di giovani venuti a dimostrare la loro solidarietà, Shelly Yakimovitch del partito laburista dice alla folla: «La pistola non ha sparato da sola, il killer non ha agito da solo, dietro di lui c´era incitamento e odio». Persino Tzpi Livni, cautamente, invita tutti, tutti, a un´«autoriflessione». Il tam tam delle radio trasmette un coro di condanne, da sinistra a destra, dal vertice alla base della piramide del potere. I dirigenti dello Shas, il partito ultraortodosso sefardita, che hanno condotto una campagna incessante contro l´omosessualità, considerata un abominio, è fra i primi a «denunciare senza riserve» l´evento delittuoso. Idem i grandi rabbini. Anche questo riporta alla memoria i giorni di Rabin, quando anzichè cercare i perché tutti corsero a dettare la loro condanna.
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