lunedì 11 novembre 2013

Una forma di protesta estrema in Russia

Pyotr Pavlensky si inchioda i testicoli sulla pavimentazione della piazza Rossa a Mosca. Per i diritti umani.


 Forma di protesta estrema in difesa dei diritti umani in Russia. Un artista, Pyotr Pavlensky, 29 anni si è inchiodato i testicoli sulla pavimentazione della piazza Rossa a Mosca, accanto al mausoleo di Lenin.
Il video dell'impresa diffuso sulla rete mostra il giovane completamente nudo, seduto per terra, con un singolo grande chiodo che gli attraversa lo scroto e si infila nello spazio tra due sampietrini. L'agenzia Ria Novosti ha riferito che dopo essere stato portato via dalla polizia ed essere stato curato in ospedale, l'uomo è stato portato in un commissariato.
L'artista, originario di San Pietroburgo, ha spiegato sul sito Grani.ru che ha tentato di attirare l'attenzione sull'indifferenza della società russa alla trasformazione del Paes in quello che ha definito "uno stato di polizia". Per fare questo il giovane ha scelto il gionro della festa della polizia.
Pavlensk non è nuovo a queste forme di proteste: in precedenza si era cucito le labbra per manifestare contro la condanna delle Pussy Riot. A maggio era stato arrestato per essersi mostrato a San Pietroburgo completamente nudo con il corpo avvolto da filo spinato.




venerdì 8 novembre 2013

Cover-boy: l'ultima rivoluzione.


Paese di produzione: Italia
Anno: 2006
Regia: Carmine Amoroso

Interpreti e personaggi
Eduard Gabia: Ioan
Luca Lionello: Michele
Chiara Caselli: Laura
Francesco Dominedò: Mimmo
Gabriel Spahiou: Florin
Walter D'Errico: ferroviere
Susan Lay: Gea
Luciana Littizzetto: padrona di casa

Premi
Festival Politico di Barcellona 2007: miglior film
Med Film festival 2007: miglior film
Mostra del Cinema di Valencia 2007: migliore attore (Luca Lionello), migliore fotografia
Premi Sergio Leone 2007: miglior film
Transilvania International Film Festival 2007: migliore attore (Luca Lionello)
Est Film Festival 2008: Arco d'oro - miglior lungometraggio, Arco d'argento - premio del pubblico

Intro
Cover-boy (a volte Cover Boy, anche sottotitolato L'ultima rivoluzione) è un film italiano del 2006 di Carmine Amoroso.

È stato presentato alla prima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma del 2006. In seguito è stato proiettato in numerosi festival internazionali, ricevendo diversi premi, ma è uscito in poche sale italiane solo il 21 marzo 2008 grazie alla distribuzione dell'istituto Luce.

La pellicola prodotta a basso costo con un budget di soli 300 000 euro, è stata girata in formato digitale HDV Sony con una cinepresa maneggevole e di piccole dimensioni, il che ha consentito di risparmiare e girare riprese professionali in luoghi dove la macchina doveva restare nascosta.

Il film è stato uno dei cinque scelti per selezionare il candidato italiano per il premio Oscar al miglior film straniero. Il film scelto è stato poi Gomorra, mentre gli altri candidati erano Il divo, Giorni e nuvole e Tutta la vita davanti.

Ambientato principalmente a Roma fra il Pigneto e la stazione Termini, ha visto l'interpretazione come protagonisti di Eduard Gabia, nel ruolo di Ioan, e Luca Lionello, nei panni di Michele. Chiara Caselli ha impersonata Laura, una fotografa di successo. Il film ha visto anche la partecipazione di Luciana Littizzetto quale padrona di casa dell'appartamento concesso in locazione a Michele.


Trama
Il film racconta le vicissitudini di Ioan, un giovane di Bucarest rimasto orfano di padre durante la Rivoluzione rumena del 1989. Il ragazzo, spinto da un amico, decide di emigrare in Italia con un pugno di soldi per tentare di raggiungere una vita economica migliore.

Dopo un lungo viaggio in treno giunge da solo a Roma. Qui si trova immediatamente di fronte alla difficoltà di vivere senza quattrini.

Nella capitale italiana è obbligato a dormire per strada e a lavarsi in posti di occasione. Dopo qualche giorno, con la complicità di un altro immigrato sconosciuto, riesce ad intrufolarsi nel bagni adibiti agli inservienti della stazione Termini. Mentre i due si stanno lavando vengono scovati da Michele, un italiano che lavora come addetto alle pulizie per una società che sopravvive di appalti, il quale, per paura di perdere il posto di lavoro, caccia i due stranieri. Uscendo dai bagni lo sconosciuto approfitta della situazione per rubare un lettore CD di Michele.

La sera seguente Ioan, ancora spaesato e alla ricerca di un luogo dove coricarsi, decide di tornare negli spogliatoi del personale della stazione per passare la notte. L'indomani Michele lo scopre di nuovo e dopo una dura discussione per il piccolo furto del giorno precedente vengono alle mani. Ioan ha la peggio.

Al termine del diverbio Michele comprende che in realtà Ioan è innocente e capita la difficoltà dell'immigrato, gli offre un letto nella propria abitazione per pochi euro al giorno. Michele alloggia in un piccolo e vecchio appartamento di proprietà di un'attrice di scarso successo. Anche l'italiano non se la passa bene economicamente, e fa fatica a pagare il canone di locazione. La sua famiglia non lo ha potuto sostenere negli studi e così ha vissuto per vent'anni come precario rimbalzando da un lavoro ad un altro.

Michele e Ioan diventano presto amici: iniziano a mangiare assieme e a condividere momenti felici. Nel frattempo Ioan trova lavoro clandestinamente come meccanico presso un'officina sfasciacarrozze e, per un breve periodo, ottiene un po' di stabilità economica. I due sognano di risparmiare qualche soldo da investire in Romania, per abbandonare la loro precaria e difficile situazione lavorativa e aprire un ristorante sul delta del Danubio. L'italiano, ammaliato dal progetto e dal fascino del rumeno, che spesso ama osservare nella propria bellezza, poco a poco s'innamora del proprio convivente. Dopo qualche tempo, Michele, a causa di una riduzione del personale effettuata dalla società di pulizie per cui lavora, che ha perso l'appalto per la pulizia della stazione Termini, viene licenziato. Affranto e frustrato per il nuovo stato di disoccupazione, il quarantenne tenta di rimettersi subito all'opera recandosi all'ufficio di collocamento, ma il proprio curriculum non gli consente un immediato reimpiego. La paura di deludere Ioan e di non poter raggiungere il progetto comune spingono Michele a tacere il proprio licenziamento all'amico.

Il mese successivo a seguito di un controllo della polizia anche Ioan viene licenziato. Il rumeno scopre allora che anche Michele è senza lavoro e, deluso per la menzogna, dopo una lite, decide di tornare a vivere solo per la strada.

Michele, disperato per l'abbandono del suo amato, si butta per le vie della città finché non ritrova il ragazzo e riesce a convincerlo a ritornare a casa.

I due sono in grossa difficoltà economica e faticano a pagare l'affitto alla padrona di casa. Una mattina Ioan, girovagando per la città alla ricerca di un lavoro qualunque, incontra l'amico connazionale che lo aveva convinto a partire per l'Italia. Quest'ultimo sopravvive prostituendosi nell'ambiente omosessuale e prova a coinvolgere nel lavoro anche Ioan che però rifiuta seccamente.

Nei giorni seguenti per Michele e Ioan si aprono nuove prospettive. L'italiano viene assunto nuovamente da un'impresa di pulizie. Invece, nella vita del rumeno, quasi per caso, irrompe una famosa fotografa, Laura, che offre a Ioan un lavoro come ragazzo copertina e lo convince a trasferirsi a Milano. Michele, nonostante il ritrovato impiego, è affranto dalla partenza del ragazzo che ama e cade in depressione.

Intanto Ioan a Milano inizia la convivenza con Laura, con cui intraprende anche una relazione sessuale d'opportunità. Il rumeno si adatta abilmente all'attività di modello e riesce a risparmiare un po' di soldi e ad acquistare anche un'automobile. La relazione tra Ioan e Laura si interrompe bruscamente quando il rumeno si infastidisce del fatto che sia stata utilizzata una foto che lo ritrae come una sorta di profugo di guerra nudo, derivata da un fotomontaggio con una foto originale della Rivoluzione rumena del 1989 scattata dalla stessa fotografa Laura quando era fotoreporter di guerra, sfruttata per meri scopi pubblicitari per una marca di vestiario.

Ioan decide di tornare a Roma e durante il viaggio chiama telefonicamente a casa della padrona di casa (proprietaria anche dell'unico telefono fisso di entrambi gli appartamenti che funge da recapito anche per gli inquilini dell'appartamento affittato) per chiedere di Michele, ma questa stizzita per il tardo orario della telefonata non accetta di scendere al piano sottostante per passare la telefonata a Michele. Dunque Ioan prega la padrona di casa di riferire almeno il suo messaggio all'amico, ovvero che lui sta per tornare con la macchina per partire poi in Romania e realizzare il loro sogno, ma questa non si prende la briga neanche di passare il messaggio. Ioan raggiunge quindi Michele ma purtroppo egli, spinto dalla solitudine e dall'ennesimo fallimento in ambito professionale, si toglie la vita nello stesso appartamento in cui i due avevano convissuto in precedenza, senza sapere del messaggio di Ioan che forse avrebbe potuto salvargli la vita. Insieme avrebbero dovuto iniziare un viaggio on the road in Romania per realizzare il progetto di aprire un ristorante sul delta del Danubio, dove Michele avrebbe cucinato le specialità italiane. Ioan decide di partire da solo, per coronare il piccolo sogno concordato con l'amico: il ristorante si sarebbe chiamato "Da Ioan e Michele".



venerdì 1 novembre 2013

Carlo Gabardini: "Essere gay è bellissimo"

 

È un messaggio contro l'omofobia quello apparso stamane sulla prima pagina di Repubblica. A scriverlo è stato l'attore milanese Carlo Gabardini, noto soprattutto per il suo personaggio di Olmo Ghesizzi nella sit-com Camera Café, che ha voluto dedicare la sua lettera a tutti i ragazzi gay e bisex per dare una sua risposta dopo il tragico suicidio del giovane 21enne che, per colpa dell'omofobia, ha deciso di abbandonare il suo sogno di diventare infermiere (perché voleva aiutare gli altri, raccontano i suoi cari) e di farla finita. Di seguito il testo integrale delle lettera:

Caro ragazzo gay, o bisex, o indeciso o boh, la vita è durissima, spesso è uno schifo, ma la propria identità sessuale non può mai essere un motivo per deprimersi, farsi del male, uccidersi. Scusami se ti scrivo, ma io ho bisogno di dirti una cosa: essere gay è bellissimo. Non è una colpa, non è un atteggiamento che uno sceglie, è normale tanto quanto non esserlo. Ma la cosa che nessuno dice mai è che essere gay è anche bellissimo. Poi a me sta bene che chi pensa che l'omofobia sia il problema, lotti per combattere l’omofobia, foss'anche solo per un motivo simbolico e per accendere i riflettori sulla questione. Ma se tu finalmente ti convinci di essere nella tua squadra del cuore, la più splendente perché meglio definisce i tuoi gusti sessuali, beh, allora che ti frega che -quasi sempre per invidia- quelli di altre squadre ti prendano in giro? Se sono dell'Inter e un milanista mi urla «nerazzurro di merda» io me ne faccio un vanto e magari gli rispondo pure «dimmi, pallosissimo etero!». Poi, ovvio, se vuole menarmi e magari sono pure più di uno, scappo, e se mi fanno del male o anche solo minacciano di farmelo, sporgo denuncia. E non sto dicendo che bisogna subire passivamente, però la questione è che non mi lascio deprimere o far venire dei dubbi, non mi lascio convincere che quello sbagliato sono io, che quindi debba punirmi e possibilmente strapparmi di dosso questa brutta cosa o ammazzarmi. Ma neanche per sogno. E sai perché? Perché essere gay è bellissimo, c'è da metterselo in testa. E poi, rimanendo in metafora, se capisci che fai parte di una squadra, capisci anche -ed è importantissimo- che non sei da solo. C'è stato un tempo antico e pure lunghissimo in cui l'omosessualità non era assolutamente un problema, credo che nemmeno se ne parlasse; poi ci son stati secoli bui e buissimi di oscurantismo, arresti, lotte, morti, e battaglie vinte, e passi indietro, e leggi terribili e pena di morte, e tutto ciò in realtà dura tuttora in troppi luoghi.
Però nel 2013 c'è una certezza che nell'intimo nessuno può misconoscere: essere gay o eterosessuali è assolutamente la stessa cosa. È come dire biondo, castano, alto, magro, sportivo, tutte quelle cose che ovviamente fanno parte di noi, ma nessuna di esse presa singolarmente ci definisce del tutto. Ovviamente troverai chi ti dice che le bionde sono stupide e i mancini subdoli, come sicuramente troverai anche degli etero che ti dicono che i gay fanno schifo, e incontrerai dei gay che ti ammoniscono che andare con le donne sia orribile e pericolosissimo, ma sono frange estreme ignoranti, sono slogan da tifoserie, niente che debba preoccuparci davvero. Quando sento qualcuno farneticare dicendo che l'omosessualità è una malattia, la mia prima reazione non è mai violenta o depressiva, piuttosto è la stessa identica che avrei se sentissi qualcuno dire «l'obesità è infettiva» o «masturbarsi rende ciechi»: mi vien da ridere, mi fa pena chi dice queste cose, giuro, mi chiedo dove abbia studiato, mi interrogo se posso aiutarlo in qualche modo e di solito gli sorrido come a un povero scemo, poi se mi va cerco pure di spiegargli che sta dicendo delle stronzate piuttosto umilianti, ma intendo umilianti per lui. Se invece dopo le parole stupide di uno stupido vado a casa a piangere, e penso che farmi del male possa in qualche modo curarmi da questa terribile malattia che è «amare chi amo ed essere quello che sono», sto facendo il gioco dello scemo, e così lui non capirà mai che quello che ha bisogno di essere curato è lui, e penserà addirittura d'aver vinto. Io non ripongo nessunissima speranza negli omofobi, perché sarebbe come chiedere un consiglio a un sacchetto di carta o un bacio a un kiwi. Io vorrei che queste morti più che gli omofobi scuotessero tutti noi non-omofobi a dire tranquillamente che essere gay è bellissimo, stupendo, perfetto. Perché il problema sono i nonomofobi che comunque, spesso inconsciamente, continuano a pensare e far proliferare l'idea che essere gay sia un problema, una colpa, una tragedia, una questione spinosa di cui occuparsi. Non è così. Non per forza. Essere gay è almeno tanto bello quanto non esserlo e essere dell'altro. Anche perché io penso che nella scala fra totalmente eterosessuale e totalmente omosessuale ci siano infiniti gradi. Anzi, penso che ci siano tanti gradi quanti gli abitanti di questo pianeta meno uno, se stessi: perché ci si innamora di un essere umano, non di una sessualità. Io mi innamoro di Alessia, di Salvatore, di Caterina, di Dario, di Elena, di Cezanne, di Monet, di Gadda, di Philip Roth, di Tondelli, della Munro, non delle donne o degli uomini, non dei pittori o delle pittrici, e neppure degli scrittori o delle scrittrici. Ma ve lo immaginate nascere in un posto dove ti dicono: tu puoi amare solo le musiciste donna oppure i tabaccai maschi? Non è così. Ci si innamora di chi ci s'innamora. Punto. Io della mia omosessualità non parlo mai perché penso che non sia una notizia. Ma se la non-notizia di esser gay, nel momento in cui viene dichiarata da tutti i gay, può salvare anche solo un ragazzo dal proprio proposito di suicidio, beh, allora lo dico: io sono gay. E come dice una mia ex fidanzata, è anche per questo che sono adorabile.
 

domenica 20 ottobre 2013

Addio al Mezzogiorno - Wystan H. Auden

Nell'estate del 1958, dopo un decennio circa di lunghissimi soggiorni estivi,  W. H. Auden abbandona l'isola di Ischia. Il suo piccolo paradiso italiano cominciava a risentire troppo del primo turismo di massa conseguente al boom economico, con i suoi effetti collaterali: folla, auto, motorette che invadevano le stradette dell'isola. Si veniva a interrompere così un lungo rapporto anche generoso con il Sud italiano e con la sua gente. Questa poesia, ricca di riferimenti mitologici e culturali (le Erinni, Mozart, Goethe e il Grand Tour ecc.), rappresenta il commiato definitivo del poeta, in partenza verso un villaggio austriaco, verso altre genti e altri climi. Il testo, che può essere letto anche come un acuto trattatello di antropologia culturale, è dedicato a Carlo Izzo, che ne è anche il traduttore. Izzo, uno degli anglisti più eminenti del Novecento italiano, era fautore della teoria etica o "umile" della traduzione letteraria, in cui  ci si deve porre in maniera quasi invisibile e mai invasiva al servizio dell'autore e del suo testo, come spiega nel suo libro "Responsabilità del traduttore, ovvero esercizio d'umiltà", del 1966.




GOOD-BYE TO THE MEZZOGIORNO (For Carlo Izzo)

Out of a gothic North, the pallid children
Of a potato, beer-or-whisky
Guilt culture, we behave like our fathers and come
Southward into a sunburnt otherwhere

Of vineyards, baroque, la bella figura,
To these feminine townships where men
Are males, and siblìngs untrained in a ruthless
Verbal in-fighting as it is taught

In Protestant rectories upon drizzling
Sunday afternoons — no more as unwashed
Barbarians out for gold, nor as profiteers
Hot for Old Masters, but for plunder

Nevertheless — some believing amore
Is better down South and much cheaper
(Which is doubtful), some persuaded exposure
To strong sunlight is lethal to germs

(Which is patently false) and others, like me,
In middle-age hoping to twig from
What we are not what we might be next, a question
The South seems never to raise. Perhaps

A tongue in which Nestor and Apemantus,
Don Ottavio and Don Giovanni make
Equally beautiful sounds is unequipped
To frame it, or perhaps in this heat

It is nonsense: the Myth of an Open Road
Which runs past the orchard gate and beckons
Three brothers in turn to set out over the hills
And far away, is an invention

Of a climate where it is a pleasure to walk
And a landscape less populated
Than this one. Even so, to us it looks very odd
Never to see an only child engrossed

In a game it has made up, a pair of friends
Making fun in a private lingo,
Or a body sauntering by himself who is not
Wanting, even as it perplexes

Our ears when cats are called Cat and dogs either
Lupo, Nero or Bobby. Their dining
Puts us to shame: we can only envy a people
So frugal by nature it costs them

No effort not to guzzle and swill. Yet (if I
Read their faces rightly after ten years)
They are without hope. The Greeks used to call the Sun
He-who-smites-from-afar, and from here, where

Shadows are dagger-edged, the daily ocean blue,
I can see what they meant: his unwinking
Outrageous eye laughs to scorn any notion
Of change or escape, and a silent

Ex-volcano, without a stream or a bird,
Echoes that laugh. This could be a reason
Why they take the sìlencers off their Vespas,
Turn their radios up to full volume,

And a minim saint can expect rockets — noise
As a counter-magic, a way of saying
Boo to the Three Sisters: 'Mortal we may be,
But we are stili here!' — might cause them to hanker

After proximities — in streets packed solid
With human flesh, their souls feel immune
To all metaphysical threats. We are rather shocked,
But we need shocking: to accept space, to own

That surfaces need not be superficial
Nor gestures vulgar, cannot really
Be taught within earshot of running water
Or in sight of a cloud. As pupils

We are not bad, but hopeless as tutors: Goethe,
Tapping homeric hexameters
On the shoulder-biade of a Roman girl, is
(I wish it were someone else) the figure

Of all our stamp: no doubt he treated her well,
But one would draw the line at calling
the Helena begotten on that occasion,
Queen of his Second Walpurgisnacht,

Her baby: between those who mean by a life a
Bildungsroman and those to whom living
Means to-be-visible-now, there yawns a gulf
Embraces cannot bridge. If we try

To 'go southern', we spoil in no time, we grow
Flabby, dingily lecherous, and
Forget to pay bills: that no one has heard of them
Taking the Pledge or turning to Yoga

Is a comforting thought — in that case, for all
The spiritual loot we tuck away,
We do them no harm — and entitles us, I think
To one little scream at A piacere,

Not two. Go I must, but I go grateful (even
To a certain Monte) and invoking
My sacred meridian names, Vico, Verga,
Pirandello, Bernini, Bellini,


To bless this region, its vendages, and those
Who call it home: though one cannot always
Remember exactly why one has been happy,
There is no forgetting that one was.



Traduzione

Addio al Mezzogiorno (per Carlo lzzo)

Usciti da un gotico nord, pallidi figli
D'una civiltà di patate e birra-o-whisky
E di colpa, ci comportiamo come i nostri padri e scendiamo
Nel Sud verso un riarso altrove

Di vigneti, barocco, la bella figura,
Queste femminili città dove gli uomini
Sono maschi e tutti fratello e sorella, ignari della spietata
Intima lotta verbale che s'insegna

Nei rettorati protestanti durante i piovigginosi
Pomeriggi domenicali, non più come lerci
Barbari in caccia d'oro, né come mercanti
Smaniosi dì Vecchi Maestri, ma pur sempre

Avidi di saccheggio: convinti, alcuni, che si faccia all'amore
Meglio nel Sud e molto più a buon mercato
(Il che è dubbio), persuasi altri, che l'esporsi
A un sole violento sia micidiale per i germi

(Il che è chiaramente balordo), e altri, come me,
Nella mezza età, mossi dalla speranza di scovare da
Ciò che non siamo quel che potremo essere in séguito, domanda
Che il Sud sembra non porsi mai. Forse

Una lingua nella quale Nestore e Apemanto,
Don Ottavio e Don Giovanni danno
Suoni egualmente belli, non è attrezzata
Per formularla, e forse in questa calura

Non ha senso: il mito d'una Strada Aperta
Che passa davanti al cancello dell'orto e invita
Tre fratelli ad andare uno dopo l'altro oltre i colli
E via lontano, è invenzione

D'un clima dove camminare è diletto,
E d'un paesaggio meno popoloso
Di questo. Pure, ci sembra molto strano
Non veder mai un figlio unico immerso

In un gioco almanaccato da lui, un paio d'amici
Scambiarsi scherzi in una lingua tutta loro,
O un non deficiente vagolare per conto suo,
Così come le nostre orecchie rimangono perplesse

Quando i gatti vengono chiamati gatto e i cani
Lupo o Nero o Bobby. Il loro modo di mangiare
Ci svergogna; non possiamo non invidiare un popolo
Così frugale per natura che non costa loro

Alcuno sforzo il non ingozzarsi e non sbevazzare: tuttavia (se
Leggo bene le loro facce dopo dieci anni)
Sono senza speranza. I Greci solevano chiamare il sole
Colui-che-colpisce-di-lontano, e da qui, dove

Le ombre hanno orli a taglio di lama, e l'oceano d'ogni giorno è azzurro,
Capisco che cosa intendevano: il suo occhio
Fermo e sdegnoso si fa beffe di qualsiasi idea
Di mutamento o evasione, e un muto

Vulcano spento, senza un corso d'acqua o un uccello
Echeggia quel riso. Questo è forse il motivo
Per cui tolgono il silenziatore dalle loro Vespe,
Aprono la radio al massimo,

E il menomo santo può aspettarsi i mortaretti — frastuono
Inteso per esorcismo, un modo di dare
La baia alle Tre Sorelle: «Può darsi che noi si sia mortali
Ma siamo ancora qui!» — e questo li rende forse desiderosi

Di contatti di gomito; in strade fittamente gremite
Di carne umana, le loro anime si sentono immuni
Da ogni minaccia metafisica. Noi siamo un po' sconcertati,
Ma abbiamo bisogno di esserlo: l'accettazione dello spazio, la

Convinzione che non è detto le superfici debbano essere superficiali
O i gesti volgari, non si possono veramente
Insegnare dove giunge all'orecchio il murmure dei torrenti
O in vista d'una nube. Come scolari

Non siamo malvagi, ma come maestri siamo impossibili: Goethe,
Che scandisce esametri omerici battendo il ritmo
Sulla scapola d'una ragazza romana, è
(Vorrei fosse un altro) l'immagine

Di tutto il nostro stampo. Senza dubbio la trattava bene,
Ma non ci si sente di chiamare
L'Elena generata in quell'occasione,
Regina della sua Seconda Walpurgìsnacht,

Figlia di lei: tra quelli che vedono nella vita un
Bildungsroman, e quelli per i quali vivere
Significa essere-visibili-ora, si spalanca un abisso
Sul quale gli abbracci non possono far ponte. Se cerchiamo

Di «meridionaìizzarci», in men che non si dica andiamo a rotoli,
Diventiamo flaccidi, lubricamente lussuriosi e
Dimentichiamo di pagare i conti: che mai si venga a sapere
Di loro che hanno fatto voto di non bere più o che si sono dati

Allo Yoga è un consolante pensiero — così con tutto
II bottino spirituale che portiamo via di soppiatto,
Non facciamo loro alcun male — e ci da il diritto, mi sembra,
Di rispondere con uno strilletto, non due,

Al loro «A piacere!» Devo proprio andarmene, ma me ne vado
Grato (perfino a un certo Signor Monte), e invoco
I miei sacri nomi meridiani: Pirandello,
Croce, Vico, Verga, Bellini,


Per benedire questo paese, le sue vendemmie e gli uomini
Che lo chiamano casa loro: sebbene non sempre si possa
Ricordare esattamente perché si è stati felici,
Non ci si dimentica d'esserlo stati.